L'ultima volta in cui si erano incontrate in una finale, la metà di quelli che oggi seguono la Nba non erano neppure nati; l'altra metà invece c'era e conserva da qualche parte una maglietta con i simboli sbiaditi di Lakers e Celtics, una scelta filosofica, più che un tifo sportivo. Era l'inizio dell'estate 1987, Magic Johnson era un ragazzo di ventotto anni al suo quarto titolo «pro» e un'era si stava chiudendo: da una parte Ronald Reagan chiedeva a Gorbaciov di sbriciolare il muro di Berlino, dall'altra parte Larry Bird, Kevin McHale e compagnia chiudevano in dissolvenza un epico capitolo per una città che fino ad oggi, appunto, non era più riuscita a sorridere di basket. Vinse Los Angeles in gara 6 il decimo dei suoi 14 titoli, appena due meno dei Celtics, assieme quasi la metà del totale, per capirsi sul blasone. A partire da giovedì le due corazzate saranno di fronte per l'undicesima volta con il titolo di mezzo. Come allora, il duello è incarnato dai due leader indiscutibili: Kobe Bryant da una parte, Kevin Garnett dall'altra. E sarà la gioia suprema per David Stern, architetto di questa Nba globale e multimediale: ha una bella voglia a dire che bisogna aprirsi a nuovi mercati, che è indispensabile portare le star del basket anche in Oklahoma e in Tennessee, ma vuoi mettere i dollari che comporta una finale del genere? Il massimo dei massimi. Anche perché non c'è un solo americano che non esprima preferenza: puoi anche tifare Phoenix, ma poi sotto sotto adori (oppure odi) i Lakers. Oppure i Celtics a sentimenti invertiti. Una scelta filosofica, dicevamo. I Celtics per molti sono gli antipatici, capaci di dare sberle a Los Angeles otto volte su dieci. È la squadra di Bill Russell, ma soprattutto di Larry Bird. La città è snob, perfino fredda, a volte troppo con la gente di colore, come confessò a fine carriera Robert Parish «The Chief», che vi giocò fino a 40 anni suonati. Los Angeles è invece calore, il colore gialloviola incute rispetto da una parte, e fa sognare i quartieri neri dall'altra. Dopo una sfilza di titoli negli anni 50, Pat Riley costruì una macchina da showbusiness più che una squadra di basket: il meno appariscente era un fenomeno di nome James Worthy, per intendersi. Magic e Kareem Abdul Jabbar le stelle. Shaquille e il giovane Kobe hanno riaperto la stanza dei trofei nel 2000 per una bella tripletta, ma mai contro avversari da leggenda. Da prassi, Lakers-Celtics durerà sette partite. Jack Nicholson sarà come al solito nel parterre; e si rivivrà la tensione dei bei tempi andati. Vorresti che durasse tutta l'estate...che ricordi...e naturalmente forza Celtics!!!5 giugno 2008
DO YOU REMEMBER?
L'ultima volta in cui si erano incontrate in una finale, la metà di quelli che oggi seguono la Nba non erano neppure nati; l'altra metà invece c'era e conserva da qualche parte una maglietta con i simboli sbiaditi di Lakers e Celtics, una scelta filosofica, più che un tifo sportivo. Era l'inizio dell'estate 1987, Magic Johnson era un ragazzo di ventotto anni al suo quarto titolo «pro» e un'era si stava chiudendo: da una parte Ronald Reagan chiedeva a Gorbaciov di sbriciolare il muro di Berlino, dall'altra parte Larry Bird, Kevin McHale e compagnia chiudevano in dissolvenza un epico capitolo per una città che fino ad oggi, appunto, non era più riuscita a sorridere di basket. Vinse Los Angeles in gara 6 il decimo dei suoi 14 titoli, appena due meno dei Celtics, assieme quasi la metà del totale, per capirsi sul blasone. A partire da giovedì le due corazzate saranno di fronte per l'undicesima volta con il titolo di mezzo. Come allora, il duello è incarnato dai due leader indiscutibili: Kobe Bryant da una parte, Kevin Garnett dall'altra. E sarà la gioia suprema per David Stern, architetto di questa Nba globale e multimediale: ha una bella voglia a dire che bisogna aprirsi a nuovi mercati, che è indispensabile portare le star del basket anche in Oklahoma e in Tennessee, ma vuoi mettere i dollari che comporta una finale del genere? Il massimo dei massimi. Anche perché non c'è un solo americano che non esprima preferenza: puoi anche tifare Phoenix, ma poi sotto sotto adori (oppure odi) i Lakers. Oppure i Celtics a sentimenti invertiti. Una scelta filosofica, dicevamo. I Celtics per molti sono gli antipatici, capaci di dare sberle a Los Angeles otto volte su dieci. È la squadra di Bill Russell, ma soprattutto di Larry Bird. La città è snob, perfino fredda, a volte troppo con la gente di colore, come confessò a fine carriera Robert Parish «The Chief», che vi giocò fino a 40 anni suonati. Los Angeles è invece calore, il colore gialloviola incute rispetto da una parte, e fa sognare i quartieri neri dall'altra. Dopo una sfilza di titoli negli anni 50, Pat Riley costruì una macchina da showbusiness più che una squadra di basket: il meno appariscente era un fenomeno di nome James Worthy, per intendersi. Magic e Kareem Abdul Jabbar le stelle. Shaquille e il giovane Kobe hanno riaperto la stanza dei trofei nel 2000 per una bella tripletta, ma mai contro avversari da leggenda. Da prassi, Lakers-Celtics durerà sette partite. Jack Nicholson sarà come al solito nel parterre; e si rivivrà la tensione dei bei tempi andati. Vorresti che durasse tutta l'estate...che ricordi...e naturalmente forza Celtics!!!
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)

5 commenti:
Sono pronto a tirar fuori dall'armadio la mia canotta verde numero 33...dopo 22 anni è tornato il tempo di vincere. Forza Celtics!
io sono per il giallo blù !!!!!
beh, più che blu i lakers tendono più al viola....
W La canotta dei Celtics che avevi da fighetto in montagna !!!
due a zero per noi!!! w la canotta old school col 33 di Larry ma pure quella fresh col 5 di Kevin...
Posta un commento